1. Memoria attiva: fare Memoria
Come ideare progetti e percorsi di senso, capaci di innescare processi di memoria attiva con chiavi di lettura significative del presente?
La memoria culturale
Sul tema delle memorie ho lavorato molto negli ultimi anni, in particolare per un progetto portato avanti come Università della Basilicata per la Fondazione Matera-Basilicata 2019, nell’ambito del progetto I-DEA, uno dei progetti pilastro del programma di Matera Capitale Europea della Cultura 2019, incentrato sui temi della memoria, del patrimonio e gli archivi.
Quando parlo di memoria, parlo di “memoria culturale”, in altri termini di una pratica culturale e creativa consapevole, che aiuta a far rivivere il passato nel presente, nelle forme più varie. Recentemente ho pubblicato Sassi e memoria. Etnografie per un archivio delle voci, un volume che ho curato insieme all’antropologo Ferdinando Mirizzi: si tratta di una delle forme di restituzione pensate per diffondere gli esiti delle ricerche effettuate per il suddetto progetto I-DEA, un progetto che intendeva valorizzare soprattutto gli archivi, che sono straordinari luoghi della memoria.
Noi antropologi facciamo molta attenzione all’utilizzo dei concetti. Per noi il concetto di cultura è un concetto in sé molto critico: ha moltissime modalità per poter essere spiegato. Per cultura, antropologicamente intesa, intendiamo tutto quello che gli esseri umani producono in quanto parte di una società. Anche memoria è un termine molto complesso, così come complessi, eterogenei e polimorfi sono tutti i luoghi della memoria.
Sui luoghi della memoria, Pierre Nora, storico francese, ha scritto il bellissimo volume Les Lieux de Mémoire. E sul tema della memoria penso invece a Tzvetan Todorov, grande studioso e antropologo, che ha ragionato sui processi di uso e abuso delle memorie. A proposito di memoria, è utile riflettere molto anche in termini di politiche e poetiche del ricordo e dell’oblio. Sono temi estremamente interessanti che mi hanno molto affascinato.
Le testimonianze della dislocazione
La Fondazione Matera Basilicata 2019 ci aveva chiesto di ragionare sulla frattura della memoria cittadina, determinata dallo svuotamento dei rioni Sassi a metà secolo scorso. Abbiamo provato a raccogliere le testimonianze dirette degli ex abitanti. Ci siamo confrontati con una generazione già più giovane di quella che aveva vissuto le miserie di questo luogo, considerato della “vergogna”, e che adesso è un luogo della memoria oggetto di attenzione turistica e patrimoniale. Abbiamo pensato che fosse importante che venisse raccontato da chi aveva vissuto le vicende tra gli anni ‘50 e gli anni ‘70 del 900: tutto quel processo di svuotamento dei Sassi e di dislocazione degli abitanti verso i nuovi quartieri periferici e periurbani. Abbiamo perciò raccolto alcune memorie di questi abitanti.
Per creare una polifonia di voci
Mi viene in mente Nuto Revelli, grande intellettuale raccoglitore di memorie della condizione contadina nelle Alpi piemontesi. Revelli ha scritto: “le memorie sono capaci di costituire un libro a sé, sono un documento leggibilissimo, anche senza alcuna chiave di lettura”. È quello che abbiamo cercato di fare: lavorare sulle testimonianze individuali per creare una polifonia di voci, che ci ha aiutato ad aggiungere un’ulteriore interpretazione di quelle storie solitamente raccontate e che è andata quindi ad affiancarsi alla storia ufficiale. Matera, come tutta la Basilicata e il resto del Meridione d’Italia, nel corso della prima metà del secolo scorso e fino agli anni ‘70 è stata oggetto di grande attenzione da parte di registi, fotografi e intellettuali, che ne hanno descritto le condizioni di vita, creando una contrapposizione netta tra le forme di vita subalterna e quelle egemoniche, contribuendo a costruire una sorta di mito della condizione contadina. Accanto a questa visione, a questo sguardo esterno, a questa etero-rappresentazione, abbiamo aggiunto un’ autorappresentazione. Abbiamo raccolto le memorie perché gli abitanti potessero riconoscersi, potessero vedere questo luogo della memoria in maniera più consapevole.
Dalla mia prospettiva, questa è memoria attiva. Fare memoria è farla con gli abitanti dei luoghi, con chi l’ha costruita nel corso del tempo, con chi l’ha ereditata e continua a riprodurla. Lo abbiamo fatto attraverso un’attività di ricerca etnografica: è il metodo dell’antropologia ed ha comportato che lavorassimo a contatto e in collaborazione con gli abitanti della città. Ne abbiamo raccolto le testimonianze attraverso una serie di pratiche che sono quelle proprie dell’antropologia e stiamo ora cercando le forme adeguate per restituire queste memorie. Abbiamo fatto un lavoro di digitalizzazione delle testimonianze e le abbiamo depositate, in parte, nell’archivio della Phonothèque della Maison méditerranéenne des sciences de l’Homme (MMSH). Saranno anche digitalmente archiviate nell’EtnoMediateca del laboratorio antropologico dell’università della Basilicata e sono a disposizione della Fondazione Matera-BAsilicata 2019, che è stato il committente della ricerca. Sul canale Youtube dell’EtnoMediateca – Unibas sono già disponibili tutte le anteprime sottotitolate in inglese delle testimonianze prodotte.
2. Comunità di patrimonio: fare Comunità
Come costruire comunità che riconoscono i luoghi della memoria come eredità culturale, riflesso ed espressione di valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione, capaci di curarli innestando innovazione sociale duratura nel tempo?
Comunità di patrimonio e responsabilità della salvaguardia
Nel 2005 è stata approvata la Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa, conosciuta come Convenzione Faro e ratificata dall’Italia nel 2021. La Convenzione sottolinea l’importanza del patrimonio culturale per le comunità che lo producono, che lo conservano e che hanno il diritto e il dovere di occuparsene. La convenzione è estremamente interessante per alcuni versi, perché sposta la responsabilità del patrimonio dalle Istituzioni, storicamente deputate alla conservazione e alla tutela del patrimonio, affidandola alle comunità. È un cambiamento interessantissimo, perché responsabilizza le comunità rispetto a quello che è il patrimonio di appartenenza, fornendo gli strumenti per poter decidere degli usi del proprio patrimonio. A noi antropologi interessa comprendere e provare a interpretare il valore di queste pratiche patrimoniali nella contemporaneità.
Le comunità hanno la responsabilità di salvaguardare. Questo termine, che ritroviamo nella Convenzione Faro, è molto interessante. È stato ereditato dalla Convenzione UNESCO del 2003, Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. La salvaguardia non è più la tutela che attua lo Stato, ma è quella che fanno le comunità e i vari portatori di interesse in maniera attiva. Questo per me è un fatto nuovo e importantissimo rispetto alla visione che ho personalmente dell’ambito patrimoniale.
Le comunità patrimoniali sono quelle che si costituiscono attorno al patrimonio. Berardino Palumbo, studioso di patrimonio culturale dalla prospettiva antropologica, ha scritto libri straordinari al riguardo. È molto critico rispetto al termine comunità di patrimonio. Ha giustamente detto che queste non sono date, non esistono a priori, ma si costituiscono appunto attorno ad uno specifico patrimonio: c’è un elemento culturale, materiale o immateriale che io riconosco in quanto patrimonio identitario, a cui conferisco la valenza di patrimonio, che è anche un’eredità che ricevo dalle generazioni precedenti, o anche che costruisco ex novo. Ci sono nuovi patrimoni che hanno la stessa dignità di quelli dotati di una certa “antichità”. Le comunità costruite attorno al patrimonio sono quelle che lo mantengono vivo, lo portano avanti, lo salvaguardano, lo valorizzano, attraverso le modalità più diverse. Queste sono le comunità a cui dobbiamo fare riferimento quando parliamo di patrimonio, memoria culturale, comunità di patrimonio e luoghi della memoria.
La comunità, concetto chiave da decostruire
Gli antropologi lo considerano in maniera fortemente critica, perché si ha quasi sempre l’idea che le comunità siano coese, che al loro interno siano gruppi ben definiti. Le comunità invece sono stratificate, sono estremamente conflittuali, sono costituite da un gruppo di persone e non da altre, quindi sono anche in qualche modo escludenti.
Parliamo di comunità che si sviluppano attorno a un elemento culturale identificato, cioè riconosciuto come patrimonio, che si ritiene abbia una sua valenza e una sua dignità e che quindi necessita di salvaguardia e valorizzazione attraverso le forme più varie e creative. Questo vale per le idee, per i valori, per le credenze, le conoscenze, i saper fare e le tradizioni. I patrimoni si costruiscono e declinano attraverso un processo di co-costruzione della cornice valoriale e di senso, mediante la condivisione di un orizzonte di senso a cui gli abitanti dei luoghi vogliono e possono fare riferimento. Quando si lavora con le comunità patrimoniali bisognerebbe secondo me ascoltarle e implementarne il più possibile la partecipazione, che è un altro concetto molto attuale, sebbene spesso però sia stretta all’interno di maglie strutturate, per una questione di tempi e di modi da applicarla. Anche la partecipazione andrebbe pertanto sollecitata in maniera più ampia e ragionata. Proporrei di guardare alle comunità per come esse si sono costituite attorno ai rispettivi patrimoni e di aiutarle a individuare quelle che sono le forme e le modalità per lavorare sulla loro salvaguardia e valorizzazione: sulla propria memoria culturale e sui luoghi della memoria.
Comunità in trasformazione nel mondo contemporaneo
Faccio un po’ fatica a stare dentro la definizione di innovazione sociale. L’innovazione presuppone che si possa costruire, in modo, come dire, positivista e crescente. Preferisco parlare di trasformazione nel tempo, perché le comunità cambiano nel tempo. Pensiamo al fenomeno migratorio. Le comunità sono continuamente mescolate, allo stesso modo i patrimoni sono ibridi e sono frutto di queste mescolanze culturali. È evidente che anche l’idea di innovazione, sociale o culturale che sia, debba adeguarsi a quelle che sono le esigenze della contemporaneità, non restando ancorata a giudizi di valore e criteri desueti.
Posso provare a raccontarvi alcuni esempi. Oltre a lavorare su Matera, ho posto l’attenzione su altri luoghi che hanno analoghe memorie complesse, contestate, memorie discusse e memorie dolorose. Questo mi ha consentito di osservare una serie di processi in atto, che sono stati gestiti in maniera estremamente diversificata, dalle istituzioni locali e dai soggetti che hanno lavorato in questi luoghi e che continuano a lavorarci.
Sui processi di patrimonializzazione
Quando si parla di luoghi della memoria, ci sono due fenomeni che occorre prendere in considerazione. Uno ha a che fare con quelli che noi antropologi chiamiamo processi di patrimonializzazione: quelle dinamiche che si coagulano anche attorno ai luoghi depositari di alcune memorie e che partono da un loro riconoscimento, dal punto di vista estetico, dalla loro storia, dalle caratteristiche di questi luoghi o dalle vicende da cui sono stati attraversati. Una volta individuati, il riconoscimento può assumere forme istituzionali. Pensate ai Sassi di Matera inseriti nel 1993 nelle liste del patrimonio UNESCO.
Luoghi della memoria e pratiche turistiche
Un altro fenomeno che caratterizza anche taluni luoghi della memoria si riferisce alle pratiche turistiche da cui sono interessati: anche queste influenzano fortemente l’uso che si fa di questi luoghi. Essi possono nel corso del tempo cambiare il proprio statuto e questo determina chiaramente un cambiamento anche di come sono vissuti e percepiti.
Faccio alcuni esempi. Uno è il caso che riguarda il Turó de la Rovira, sito nella periferia di Barcellona. Mentre negli anni ‘50 e ‘60 del ‘900 questo era considerato un luogo della vergogna, abitato e affollato di baracche, soprattutto di immigrati, oggi è invece stato patrimonializzato. Attualmente ha cambiato completamente il suo valore ed è dal 2011 parte del percorso turistico e patrimoniale della città di Barcellona. Il Turó de la Rovira si trova su un’altura che consente di vedere lo skyline della città. È un luogo limitrofo a uno dei quartieri storici della periferia di Barcellona, ma gli abitanti di questo quartiere non hanno mai voluto che questo luogo fosse patrimonializzato. Difatti, da un lato ci sono i turisti che lo “prendono d’assalto”, dall’altro ci sono le organizzazioni locali di cittadini e alcune realtà associative che hanno a cuore i sentimenti e le esigenze di chi abita in quei luoghi e si attivano per contrastare il fenomeno turistico incontrollato.
I luoghi della memoria devono essere osservati, conosciuti e studiati adeguatamente.
I soggetti che intendono lavorare sull’innovazione a base culturale e sociale, e dal basso, possibilmente devono confrontarsi innanzitutto con la storia dei luoghi.
Un altro esempio estremamente interessante è quello di un distretto della città di Bucarest: il quartiere Uranus, che fino agli anni ‘50 e ‘60 era abitato soprattutto dagli artigiani. Era un quartiere molto caratteristico, con le sue botteghe. Durante il periodo autoritario, a metà anni ‘80 del Novecento, è stata rasa al suolo una parte del centro della città. La memoria di Uranus non è stata considerata ed è stato costruito al suo posto il nuovo Parlamento. Gli abitanti di oggi, attraverso delle associazioni di giovani, che si occupano di innovazione sociale e rigenerazione urbana, stanno cercando di recuperare la memoria di quel quartiere, attraverso una serie di operazioni interessanti, che hanno a che fare con l’arte contemporanea, oltre che con il recupero e la digitalizzazione di materiali di archivio.
3. Visioni di impatto: fare Cambiamento
Cosa suggeriresti alle organizzazioni per promuovere un orientamento alla progettazione delle attività, che ponga al centro il cambiamento che si desidera generare in relazione ai Luoghi della Memoria? Cosa dovremmo considerare in una valutazione di impatto?
Porto due esempi che riguardano la regione Basilicata: entrambi suggeriscono una maniera interessante di lavorare rispetto ai luoghi della memoria che possono fungere da spunto per progettare attività, cambiamento e valutare l’impatto sui territori e le comunità.
Nel Comune di Latronico, per anni uno dei luoghi delle mie ricerche etnografiche, lavora da diverso tempo un’associazione locale, ArtePollino. I giovani dell’associazione, che hanno deciso di restare o di tornare a vivere in un piccolo comune delle aree interne d’Italia, hanno scelto di lavorare su quella che è la memoria del luogo, in cui sono nati e cresciuti, recuperandola attraverso una serie di operazioni estremamente interessanti, che hanno a che fare col patrimonio culturale materiale e immateriale, con le tradizioni e con l’arte contemporanea. Lavorando con artisti nazionali e internazionali, con le università, con soggetti del territorio cercano di tenere insieme la tradizione e la contemporaneità. Lo fanno attraverso la valorizzazione di quelli che sono i luoghi della memoria della città. A Latronico c’è una tutta una parte della città a valle dove sussistono tuttora gli impianti termali. Attraverso la valorizzazione di questi luoghi, ad esempio con operazioni di Land art e di altro genere artistico e culturale, si lavora su questi su questi temi, cercando di coinvolgere il più possibile gli abitanti della città, oltre che proponendo forme innovative di valorizzazione del patrimonio culturale.
Un altro comune che mi piace citare, per le operazioni che trovo estremamente rilevanti, si trova nella Provincia di Matera e si chiama San Mauro Forte. È il paese dove c’è la Sagra del Campanaccio, organizzata nel mese di gennaio di ogni anno: è un rito invernale estremamente interessante. Molti giovani, costituitisi in diverse associazioni, stanno lavorando sulle peculiarità del patrimonio culturale locale, materiale e immateriale. Stanno sviluppando un discorso di valorizzazione che si lega con le necessità anche contemporanee, come la lotta al cambiamento climatico. Stanno portando avanti una vera e propria “guerra” contro i tentativi di alcuni imprenditori di distruggere gli uliveti secolari, perché a San Mauro Forte si coltiva una varietà di olivo molto pregiata e molto antica, che si vorrebbe dismettere, a vantaggio di produzioni un po’ più economiche e più intensive. ci sono giovani che stanno lavorando in questa direzione: lo stanno facendo tentando di salvaguardare i luoghi della storia che conservano la memoria del paese in cui vivono.
Sarebbe opportuno, a mio avviso, operare con cura sui territori, confrontarsi, creare relazioni, entrare in contatto con chi i territori li abita, ascoltare gruppi, organizzazioni e comunità, cercare in qualche modo di arrivare a valorizzare le persistenze culturali e le memorie dei luoghi nel pieno rispetto della diversità e della intrinseca creatività umana.
Vita Santoro. È assegnista di ricerca per il progetto “Il patrimonio culturale materiale e immateriale di fronte alla crisi sociale, ambientale ed economica in Basilicata: casi di rigenerazione “dal basso” (Programma Ricerca e Innovazione Tech4You – PNNR)”. È componente del team della Cattedra UNESCO di Matera in “Paesaggi culturali del Mediterraneo e comunità di saperi” fin dalla sua creazione nel 2016. Ha condotto tra il 2021 e il 2023 una ricerca etnografica nell’ambito del progetto PRIN “Migrazioni, spaesamento e appaesamento: letture antropologiche del nesso rituali/migrazioni in contesti di Italia meridionale”. Dal 2018 al 2020 è stata assegnista di ricerca in un progetto di documentazione sulla memoria degli ex abitanti dei Sassi di Matera, sviluppato nell’ambito del progetto I-DEA per Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Dal 2019 al 2022 è stata docente a contratto di Antropologia del patrimonio presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. È socia ordinaria della SIAC e socia ordinaria e componente del Direttivo della SIMBDEA. Al suo attivo ha: una monografia (Scrivere il patrimonio. Etnografia di pratiche discorsive e forme di testualizzazione intorno alla memoria culturale, Edizioni di pagina 2023); un volume scritto in co-curatela con l’antropologo Ferdinando Mirizzi (Sassi e Memoria. Etnografie per un archivio delle voci, Paternoster 2022); numerosi articoli in prestigiose riviste del settore scientifico M-DEA/01. Dal 2013 coordina la redazione della rivista scientifica “Archivio di Etnografia”. I suoi principali temi di interesse riguardano l’antropologia museale e dei patrimoni culturali, l’antropologia della scrittura, l’antropologia delle migrazioni e dei margini.