Il 30 novembre 2023 i protagonisti dei progetti pilota si incontrano in Fiera del Levante, per sviluppare suggerimenti e indirizzi utili alla redazione del programma biennale dei Luoghi della Memoria. Le attività sono supportate da Ugo Bacchella, cofondatore nel 1999 e Presidente, dal 1999 al 2021, della Fondazione Fitzcarraldo, centro internazionale indipendente attivo nella ricerca, consulenza, formazione, advocacy per il management, le politiche e l’economia della cultura, da Pasquale Bonasora, esperto di sviluppo locale e Presidente di Labsus, da Anna Maria Candela, Dirigente della Sezione Tutela e Valorizzazione dei Patrimoni Culturali di Regione Puglia.
La preparazione del laboratorio
A partire dall’analisi dell’Albero degli Obiettivi identificato nel laboratorio del 14.6.23 e dal laboratorio sui criteri di valutazione del 14.7.23, sono stati identificati 3 campi d’indagine prioritari, utili a rintracciare suggerimenti e indirizzi a carattere generale, per la redazione del programma biennale dei Luoghi della Memoria:
1. Ricordare: raccogliere, trasmettere, ricostruire, divulgare e pubblicare (nel senso di rendere pubblico, aperto e riutilizzabile il patrimonio di conoscenze), con riferimento a tutta la documentazione disponibile: anche a quella degli archivi privati, perché sia pubblica.
2. Coinvolgere e costruire, diffondere e condividere: rendere accessibili, fruibili e riutilizzabili i patrimoni immateriali, utilizzare nuovi format narrativi, promuovere la conoscenza intergenerazionale, favorire la costruzione di nuovi orizzonti di senso e di un welfare culturale diffuso.
3. Radicare, comprendere, conoscere e riconoscere: promuovere la completezza e la riconoscibilità di un singolo evento dentro le grandi narrazioni, attivare nuovi percorsi di ricerca, valorizzare le fonti orali e le storie minori e marginali. Rivitalizzare: rendere i luoghi vitali, promuovere la scoperta e rendere consapevoli. Narrare e interconnettere: raccontare storie con una narrazione leggera, per favorire nuove strade di ricerca, interconnettere i luoghi materiali e immateriali.
Considerando i tre campi di indagine ricavati dall’albero degli obiettivi, otto testimoni rilevanti hanno focalizzato, da punti di vista diversi, suggerimenti e indirizzi utili, ai fini della redazione del programma biennale dei Luoghi della Memoria: Ugo Bacchella, Alessandro Bollo, Giuseppe Cosenza, Ilda Curti, Leonardo Delmonte, Roberta Franceschinelli, Vita Santoro, Paolo Verri.
I testimoni hanno affrontato 3 domande:
Rispetto al RICORDARE, per indagare il tema Memoria attiva: fare Memoria. Come ideare progetti e percorsi di senso capaci di innescare processi di memoria attiva con chiavi di lettura significative del presente?
Rispetto al COINVOLGERE e al COSTRUIRE, per indagare il tema Comunità di patrimonio: fare Comunità. Come costruire comunità che riconoscono i luoghi della memoria come eredità culturale, riflesso ed espressione di valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione, capaci di curarli innestando innovazione sociale duratura nel tempo?
Rispetto al RADICARE, per indagare il tema Visioni di impatto: fare Cambiamento. Cosa suggeriresti alle organizzazioni per promuovere un orientamento alla progettazione delle attività, che ponga al centro il cambiamento che si desidera generare in relazione ai Luoghi della Memoria? Cosa dovremmo considerare in una valutazione di impatto?
Le otto testimonianze sono raccolte nella sezione Buone pratiche. Dall’indagine sono nati i contenuti di questo laboratorio, organizzato in 3 set di discussione: fare memorie, fare comunità, fare cambiamento.
Le buone pratiche hanno condotto ad un documento di discussione, condiviso con i partecipanti prima del laboratorio ed utilizzato durante il suo svolgimento in presenza.
Il procedimento del laboratorio
Tre set con tre insiemi di domande. Gli esperti convocati e protagonisti dei progetti pilota scelgono insieme quelle prioritarie da trattare, per fare comunità, per fare memorie, per fare cambiamento. Osservano le implicazioni con le altre domande. Nasce un testo corale istantaneo, che connette e solidarizza le riflessioni, in un unico discorso.
Anna Maria Candela, per accompagnare l’adozione del programma
Le domande di oggi sono simili ad obiettivi e titoli di capitoli di un programma di lavoro, sono uno schema mentale che funziona. L’impegno è approvare il programma e di finanziarlo, per costruire modalità di lavoro che consentano nei territori percorsi più lunghi, più larghi e diffusi, rispetto alle connessioni con le altre realtà territoriali. L’impegno è mettere a frutto questo lavoro: trasferirlo all’interno di un documento di programmazione regionale. Così deve fare l’Istituzione. Questo è uno di quei momenti.
Faremo in modo che questo sito diventi un luogo di ritrovo e di scambio, per accompagnare l’adozione del programma, con la visibilità dei contributi alti, esterni e terzi rispetto alla realtà territoriale, è l’altro impegno che vorremmo assumere. È uno spazio di arricchimento per tutte quelle realtà che non hanno avuto la possibilità, il privilegio e l’onere di partecipare a questo percorso. L’idea è anche quella di condividere contenuti con tutte le realtà che non sono state inizialmente selezionate, per allargare questo modo di lavoro. Cominceremo a costruire delle schede che ci consentano di catalogare i luoghi della memoria all’interno del patrimonio immateriale di questa Regione: non abbiamo ancora sistematizzato l’immenso patrimonio esistente. Questi progetti saranno i primi ad essere schedati e catalogati, per essere all’interno dell’archivio del patrimonio immateriale regionale.
I Set – Memoria attiva/Fare memorie
Per ideare progetti e percorsi di senso, capaci di innescare processi di memoria attiva con chiavi di lettura significative del presente.
La domanda prioritaria scelta dai presenti per la discussione è stata: come costruire percorsi culturali che sappiano far dialogare il passato e l’attualità, per contribuire al superamento degli ostacoli sociali e promuovere un welfare culturale?
Ugo Bacchella, tra il passato e il futuro
Entriamo nel merito del rapporto tra il passato e il futuro. In questo presentismo dilagante il passato sembra non contare e c’è una cosa che inizia a essere materia di discussione, per alcuni di grande preoccupazione, che è l’inasprirsi della crisi climatica, con un senso di incertezza verso il futuro. In questa frattura, radicale e generazionale, la memoria è molto importante, perché significa condividere. Siamo in un Paese che non ha mai fatto i conti con la propria memoria storica. Non abbiamo mai fatto un lavoro di ricomposizione. Questo progetto diventa veramente importante se riesce a fare un passettino, almeno su un territorio regionale, verso una memoria condivisa, su fatti eclatanti e su altri episodi su cui la memoria condivisa non c’è. Viviamo in un tempo di grandi conflitti, che ancora si esasperano per molte ragioni. L’idea di costruire non un progetto, ma un programma pluriennale in cui ci sono organizzazioni sul territorio che si fanno presidio per lavorare sulla memoria condivisa, connettendo i giovani e le vecchie generazioni è una cosa importantissima.
Pasquale Bonasora, la memoria come bene comune
Nei percorsi di attivazione delle comunità che noi facciamo un bene viene considerato come bene comune quando è la comunità riconoscerlo come tale. In un periodo come quello che stiamo vivendo, riconoscere la memoria come parte essenziale anche delle nostre comunità non è così facile, non è così immediato. Nelle esperienze concrete diventa molto interessante osservare come la memoria può essere un bene comune immateriale di per sé, una parte essenziale attorno a cui una comunità si definisce. Un bene comune fisico si porta dietro quasi naturalmente la memoria come bene immateriale. Faccio riferimento ad un’esperienza che è stata da questo punto di vista molto interessante. Riguarda la comunità di Ussita, piccolo centro delle Marche distrutto dal terremoto, nelle aree interne, nel cratere sismico delle Marche. Quando ci siamo seduti con un gruppo di cittadini per riattivare alcuni spazi di quel piccolo centro completamente distrutti è venuto alla luce il discorso sulla memoria. Non si trattava evidentemente di ricostruire uno spazio fisico, ma i legami che tenevano insieme quella comunità, che non aveva più i riferimenti concreti e reali. Lì si è attivato un processo culturale di relazione con lo spazio, di come quello spazio poteva contribuire a creare una coscienza collettiva e un processo culturale e di quanto diventasse fondamentale l’esercizio della memoria su uno spazio che non c’era più. I discorsi legati al paesaggio, alle nostre città, agli spazi urbani hanno molto a che fare con la memoria degli spazi in una visione di prospettiva, per capire come essi possano, debbano o non debbano cambiare in relazione a quella che è l’identità di chi vive attraverso di essi.
La restituzione: fare Memorie significa
...costruire percorsi culturali che sappiano far dialogare il passato e l’attualità, per contribuire al superamento degli ostacoli sociale e promuovere un welfare culturale, finalizzato a sviluppare processi di responsabilizzazione, che utilizzano la dimensione di valore del passato come dispositivo di senso del presente. Per per pluralizzare le memorie, con un meccanismo selettivo, si può responsabilizzare le singole vite, in uno scambio intergenerazionale di valutazione storica, dentro la formazione di una comunità, frutto di scelta, fra memoria pubblica, quella d’archivio, quelle familiari. Le differenti memorie coesistono, pongono il problema della scelta. I luoghi sono mobili nel loro senso, le comunità non si perdono costruendo l’anagrafe della loro composizione, perché le memorie non sono sempre pacificate. Ogni individuo è storia: lavoriamo facendo rete. Dai non luoghi possono riemergere i ricordi, riaccendendo i conflitti sui confini, mettendo fuori le fratture sul percorso, con il mandato da assumersi per tenerle vive. Ci vuole un incarico di gestione quotidiana, legati alla verità, che non è dinamica virtuale. Abbiamo il dovere di essere studiosi, accettando luoghi a più memorie e la complessità. Siamo in una perturbazione, in transizione.
II Set – Comunità di patrimonio/Fare comunità
Costruire comunità che riconoscono i luoghi della memoria come eredità culturale, riflesso ed espressione di valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione, capaci di curarli innestando innovazione sociale duratura nel tempo.
La domanda prioritaria scelta dai presenti per la discussione è stata: come costruire nuovi immaginari che stimolano, attraverso nuovi linguaggi e l’uso creativo del patrimonio, processi di attivazione della memoria?
La restituzione: fare Comunità significa
…promuovere la costruzione di comunità plurali che condividono e ragionano su memorie lontane, divergenti, antagoniste e conflittuali per costruire nuovi immaginari che stimolano, attraverso nuovi linguaggi e l’uso creativo del patrimonio, processi di attivazione della memoria, processi di risonanza tra le persone, chiedendoci come ognuno di noi ha reso la propria memoria fruibile agli altri, per creare eventi fruibili da tutti in modi diversi, lavorando lungo percorsi di risveglio dei legami, per innescare lo stesso processo di ricucitura, in modo da iniziare a parlare tra generazioni diverse, alimentando la fiducia rispetto al potere, incrociando diverse memorie, aprendo alla gestione condivisa degli archivi locali come bene comune.
III Set – Visioni di impatto possibili/Fare cambiamento
Promuovere un orientamento alla progettazione delle attività, che ponga al centro il cambiamento che si desidera generare in relazione ai Luoghi della Memoria.
La domanda prioritaria scelta dai presenti per la discussione è stata: Quali cambiamenti intendiamo perseguire con i progetti e come li misuriamo?
Ugo Bacchella, per dichiarare il cambiamento che si vuole produrre
È semplicissimo: se non scegliamo in base a che cosa essere valutati, lo farà qualcun altro, che tra l’altro non sa esattamente che cosa facciamo. Non lo capisce, non lo interpreta. Non ha gli strumenti per capirlo. Lo fa sulla base di schemi e di altre esperienze. Bisogna metterci mano, per quanto sia spinoso. È difficile accettare di essere valutati, ma è questa è la sfida: dichiarare apertamente dove si vuole arrivare, il cambiamento che si vuole produrre. Bisogna farlo in modo chiaro e comprensibile. Mi sembra fondamentale che tra cinque, sei anni resti qualcosa di un progetto agli altri partner che abbiamo coinvolto. Non è impossibile definire un indicatore su quanto il nostro percorso di ricostruzione e di riproposizione della memoria sia veramente diventato anche dei nostri partner, per capire se nell’arco del tempo di attuazione del progetto quelle organizzazioni partner hanno formato gruppi di lavoro dedicati, se hanno introdotto nei loro programmi annuali eventi correlati al nostro percorso. Questo fa la differenza. È un modo molto semplice di ragionare, per riconoscere se sono stati fatti dei passi in avanti reali, per non annegare in una melassa in cui diventa tutto retorica.
La valutazione non è una gabbia rigida, ma è orientata verso una prospettiva di lungo termine. I luoghi della memoria possono essere un servizio e un pilastro della vita di comunità per i prossimi anni: concediamoci di pensare a 360 gradi il ruolo che possono avere.
Un luogo della memoria non può essere fuori dal mondo digitale: è condizione esistenziale in cui siamo. Questo apre molte porte. Se un luogo della memoria aiuta anche l’alfabetizzazione digitale, a favore di tutti, degli anziani, degni immigrati: è un modo bellissimo per portarli dentro la storia della comunità, con la possibilità di accedere ad altri finanziamenti e aprire la strada ai partenariati. Un progetto culturale è sostanzialmente digitale. Un luogo della memoria potrebbe lanciare, come rete, un programma di residenze digitali, offrendo la possibilità a imprese, professionisti e ad altri attori di essere con noi, per sei mesi, con la possibilità di generare cose nuove, contenuti, un videogioco, qualcosa di utile. È legittimo pensare che chi li sostiene inizialmente chieda ad esempio: in questi anni, come pensi di stare nel mondo digitale? Quale contributo dai? Come ti qualifichi? Cosa farai entro 3 anni in questa direzione?
Pasquale Bonasora, dentro uno scenario più ampio
Nei territori siamo ancora abituati a ragionare su progetti che hanno un inizio ed una fine, un ben preciso finanziamento. Oggi invece l’impatto e il cambiamento vanno giocati su uno scenario più ampio, sugli strumenti che sono diventati collaborativi, sui processi di co-progettazione e di co-programmazione, che devono considerare al loro interno il cambiamento, come un pezzo del loro percorso, che si modifica, cambia e si adegua rispetto ad esso. Anche la modalità degli strumenti cambia il modo di considerare l’impatto e il cambiamento.
La restituzione: fare Cambiamento significa
…che dobbiamo capire quali cambiamenti intendiamo perseguire con i progetti e come li valutiamo, come identificare gli indicatori che restituiscono i processi di partecipazione culturale. Per fare cambiamento occorre che ci sia continuità nel tempo, perchè di loro diventi il processo, per fare dei passi in avanti reali, perché il progetto resti dentro un’intera policy, trovando ulteriori modalità di lavoro sulle memorie, in una continua alimentazione di progetti, santuari laici, in modo da creare mappe di immaginari, per capire insieme come costruirle, per portarci dentro le persone guardando il percorso a lungo termine, per un osservatorio regionale di tanta roba, perché le persone tornino nei luoghi, dentro la trasformazione del mondo, per la loro stessa condizione esistenziale, in un programma di residenze digitali, giocando l’impatto e il cambiamento su un ampio scenario.
Con i contributi di tutti
La scrittura istantanea corale. Ogni colonna corrisponde ad un set di discussione.
Per il programma biennale dei Luoghi della Memoria, una lettura orizzontale
Per pluralizzare le memorie, con un meccanismo selettivo, promuovendo processi di risonanza tra le persone, che ci sia continuità nel tempo, perché di loro diventi il processo, si possono responsabilizzare le singole vite, chiedendoci come ognuno di noi ha reso la propria memoria fruibile agli altri, per fare dei passi in avanti reali, perché il progetto resti, in uno scambio intergenerazionale di valutazione storica, per creare eventi fruibili da tutti in modi diversi, dentro un’intera policy, dentro la formazione di una comunità frutto di scelta, lavorando lungo percorsi di risveglio dei legami, trovando ulteriori modalità di lavoro sulle memorie, tra memoria pubblica, quella d’archivio, quelle familiari. Per innescare lo stesso processo di ricucitura, in una continua alimentazione di progetti, santuari laici.
Le differenti memorie coesistono, pongono il problema della scelta, in modo da iniziare a parlare tra generazioni diverse, in modo da creare mappe di immaginari. I luoghi sono mobili nel loro senso.
Le comunità non si perdono alimentando la fiducia rispetto al potere, incrociando diverse memorie, per capire insieme come costruirle, costruendo l’anagrafe della loro composizione, aprendo alla gestione condivisa degli archivi locali come bene comune, per portarci dentro le persone, perché le memorie non sono sempre pacificate.
Guardando il percorso a lungo termine, ogni individuo è storia: lavoriamo facendo rete per un osservatorio regionale di tanta roba. Dai non luoghi possono riemergere i ricordi, perché le persone tornino nei luoghi riaccendendo i conflitti sui confini, dentro la trasformazione del mondo, mettendo fuori le fratture sul percorso, per la loro stessa condizione esistenziale, con il mandato da assumersi per tenerle vive, in un programma di residenze digitali.
Ci vuole un incarico di gestione quotidiana, giocando l’impatto e il cambiamento su un ampio scenario, legati alla verità che non è dinamica virtuale. Abbiamo il dovere di essere studiosi, accettando luoghi a più memorie, la complessità.
Siamo in una perturbazione, in transizione.